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Onirica

Fotografie di
Virginia Sobrino

​Alea Contemporary Art

Dal 12 Ottobre al 02 Novembre 2024

“Quello che fotografiamo non è ciò che vediamo, ma quello che siamo"
Franco Fontana

Immagini del subconscio, sogni e incubi, luoghi da cui fuggire e dove rifugiarsi. Una passeggiata negli angoli più reconditi della nostra mente, li dove perdiamo le inibizioni e dove ci sentiamo più inermi, nel profondo delle nostre anime, della nostra essenza. In questi spazi intangibili si celano le nostre paure più oscure e i nostri desideri più ardenti. Ogni passo in questo labirinto interiore ci avvicina a una comprensione più profonda di chi siamo veramente, svelando verità nascoste sotto strati di coscienza e convenzioni sociali.In queste dimensioni parallele tra luce e ombra, tra sogno e realtà, il tempo perde il suo significato e le emozioni diventano le vere guide. Ogni incontro, ogni visione, porta con sé un messaggio, un frammento di saggezza che ci aiuta a navigare nel mondo reale con maggiore consapevolezza e forza interiore, scoprendo la bellezza della nostra complessità umana.

 

 

Virginia Sobrino

Virginia Sobrino, fotografa argentina apprezzata per i reportage e i ritratti di artisti al lavoro, dopo le serie “Stendhal” e “Posibilidades de la Abstracciòn”, torna, in occasione della sua personale presso Alea Contemporary Art, ad indagare con forza e sincerità l’elemento irrazionale partendo dal mondo dei sogni, quel mondo a cui tutti noi almeno una volta abbiamo desiderato di appartenere per fuggire dal mondo reale. In queste istantanee animiche sembra esserci sempre una via di fuga, ma è davvero un’uscita, un luogo sicuro o piuttosto il punto da dove veniamo, l’origine dei nostri pensieri oscuri e pericolosi? Restiamo così inermi davanti a queste visioni, costretti a guardare dentro uno specchio, che ci parla di noi, delle nostre paure, con le quali possiamo dialogare e comprenderci, finalmente, ispirati dalla bellezza enigmatica di questi scatti. In alcune opere viene totalmente stravolto il soggetto iniziale, plasmato per trasmettere altre emozioni, per scoprire gradualmente le regioni nebulose dell’animo che cerchiamo di nascondere dietro innumerevoli e precostituite sovrastrutture, che implacabilmente cadono, lasciandoci nudi, esterrefatti. Ma questo processo a volte violento può renderci consapevoli di ciò che sentiamo, può essere una catarsi visiva che diventa indagine interiore verso un miglioramento, un affinamento delle energie sottili. La dualità che permea tutte le cose si manifesta anche nelle opere apparentemente statiche, dove c’è sempre un elemento invisibile che allude ad un punto di unione tra il dentro e il fuori, tra noi e il mondo a cui nonostante tutto apparteniamo, e a cui vorremmo abbandonarci con tutte le nostre imperfette molecole.

 

 

Andrea Pacini

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